Il rifiuto alla pubblicazione di alcuni “scatti rubati” non comporta la rinuncia al diritto alla gestione della propria immagine da parte di un attore professionista

Il rifiuto alla pubblicazione di alcuni “scatti rubati” non comporta la rinuncia al diritto alla gestione della propria immagine da parte di un attore professionista
15 Marzo 2019: Il rifiuto alla pubblicazione di alcuni “scatti rubati” non comporta la rinuncia al diritto alla gestione della propria immagine da parte di un attore professionista 15 Marzo 2019

Con la sentenza n. 1875/19, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di pubblicazione abusiva dell’immagine altrui.

Nel caso di specie, il Tribunale di Milano aveva accolto la domanda risarcitoria proposta da un famoso attore contro il direttore e la società editrice di una rivista che aveva pubblicato tredici fotografie che lo ritraevano all’interno nel parco di una villa privata assieme ai suoi ospiti e, in particolare, assieme ad una nota soubrette, con la quale intratteneva, all’epoca, una relazione sentimentale.

Il Giudice di prime cure, superando l’eccezione dei convenuti circa il legittimo esercizio del diritto di cd. cronaca rosa, aveva affermato che la pubblicazione, senza il consenso dell’avente diritto, violava il diritto al ritratto, di cui all’art. 10 c.c., e art. 96 L.A., non rientrando il caso in uno di quelli giustificati ai sensi dell’art. 97 L.A., essendo palese - in mancanza di fatti di pubblico interesse - l’intento dell’attore, in vacanza nella sua dimora, di escludere ogni intrusione in essa da parte degli estranei.

Inoltre, l’iniziativa editoriale integrava l’illecito del trattamento abusivo dei dati personali (con violazione degli artt. 2, 11 e 23 Codice Privacy), e quello di interferenza illecita nella vita privata (art. 615 bis c.p., comma 2).

Pertanto, aveva condannato i convenuti al pagamento di una somma a titolo di danno patrimoniale (equitativamente determinata, in base al criterio del compenso che l’attore avrebbe, presumibilmente, richiesto per la pubblicazione delle predette riprese fotografiche), oltre al risarcimento per il danno non patrimoniale arrecatogli con l’illecita intrusione nella sua vita privata (per il turbamento e la sofferenza psicologica).

Avverso tale decisione i convenuti soccombenti avevano proposto appello.

La Corte territoriale aveva confermato solo parzialmente la sentenza di primo grado.

Il Collegio, infatti, ribadiva che le immagini erano state carpite in violazione della riservatezza dei personaggi, ritratti attraverso una abusiva introduzione nelle pertinenze dell’abitazione privata, tendenzialmente esclusa dalla visione dall’esterno, con prolungati appostamenti, postazioni sopraelevate e utilizzo degli interstizi nelle siepi di recinzione, nonché di tecnologie avanzate.

Negava, invece, l’esistenza di un danno patrimoniale, atteso che l’appellato aveva - per il tramite del suo portavoce - espressamente rifiutato il consenso alla pubblicazione di immagini della propria vita privata, in tal modo precludendo qualsiasi sfruttamento economico di tali immagini.

L’appellato proponeva, quindi, ricorso per cassazione, censurando, tra le altre, la violazione e falsa applicazione della L. n. 633 del 1941, dell’art. 158 c.p. e dell’art. 2056, comma 2 c.c..

In particolare, il ricorrente si doleva della esclusione del danno patrimoniale quale conseguenza degli illeciti accertati, nonostante, in momenti successivi a quello oggetto della causa, egli avesse consentito alla pubblicazione di proprie immagini dietro corrispettivi milionari.

Pertanto, il danno patrimoniale doveva essere dichiarato sussistente e parametrato, se non al prezzo del consenso, quantomeno al numero delle copie vendute, all’incasso realizzato o al prezzo richiesto in più recenti occasioni.

La Corte di Cassazione ha accolto il predetto ricorso.

I Giudici di Piazza Cavour, infatti, hanno osservato che, per costante giurisprudenza di legittimità, “chiunque pubblichi abusivamente il ritratto di persona notoria (...) è tenuto al risarcimento del danno, la cui quantificazione deve essere operata tenendo conto più che della lesione del diritto alla riservatezza, in sé considerato, delle cause di detta notorietà, poiché, se questa consegue ad esercizio di un’attività (nella specie, nel campo dello spettacolo) cui si ricollega la consuetudine dello sfruttamento rimunerato dell’immagine, l’abusiva pubblicazione determina un danno di natura patrimoniale, comportando il venir meno per l’interessato della possibilità di offrire l’uso del proprio ritratto per pubblicità di prodotti o servizi analoghi e d’altra parte difficoltà a commercializzare al meglio la propria immagine anche con riferimento a servizi o prodotti del tutto diversi” (ex multis, Cass. Civ., Sez. 1, Sentenza n. 4031 del 1991).

“Tale pregiudizio non è, poi, escluso dall’eventuale rifiuto del soggetto leso di consentire a chicchessia la pubblicazione degli specifici ritratti abusivamente utilizzati (…), atteso che, per un verso, detto rifiuto non può essere equiparato ad una sorta di abbandono del diritto, con conseguente caduta in pubblico dominio, in quanto nella gestione del diritto alla propria immagine ben si colloca la facoltà, protratta per il tempo ritenuto necessario, di non pubblicare determinati ritratti, senza che ciò comporti alcun effetto ablativo, e, per altro verso, la stessa gestione può comportare la scelta di non sfruttare un determinato ritratto, perché lo sfruttamento può risultare lesivo, in prospettiva, del bene protetto; con la conseguenza che lo sfruttamento abusivo del ritratto, in quanto frustrante della predetta strategia generale che solo al titolare del diritto spetta di adottare, può risultare fonte di pregiudizio - ben più grave di quello corrispondente al valore commerciale della specifica attività abusiva il cui risarcimento ben può essere effettuato in termini di perdita della reputazione professionale, ove questa sia stata allegata in giudizio, da valutarsi caso per caso dal giudice di merito nei limiti della ricchezza non conseguita dal danneggiato, ovvero anche con il ricorso al criterio di cui all’art. 1226 c.c.".

Pertanto, l’illecita pubblicazione dell’immagine altrui obbliga al risarcimento anche dei danni patrimoniali, che consistono nel pregiudizio economico di cui la persona danneggiata abbia risentito per effetto della predetta pubblicazione e di cui abbia fornito la prova. In ogni caso, qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, la parte lesa può far valere il “diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per concedere il suo consenso alla pubblicazione, determinandosi tale importo in via equitativa, avuto riguardo al vantaggio economico conseguito dall’autore dell’illecita pubblicazione e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione".

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.

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